domenica 20 novembre 2011

#OccupyWallStreet sul 25 Novembre



Ecco il testo tradotto del documento di Occupy Wall Street sul 25 Novembre!
Qui l'articolo in inglese 
Qui il blog in inglese di #Occupy Patriarchy



Il nuovo ‘momento odierno’ di Occupy Wall Street

Il mondo intero esplodeva mentre noi americani stavamo a guardare. Il nostro naso incollato agli schermi della storia, osservavamo ondate di ribellione di massa propagarsi dalla Grecia e dalla Spagna alla Tunisia, all’Egitto e alla Siria nella primavera araba, in cui veniva rovesciata dittatura dopo dittatura. E poi, chi poteva immaginare? Io per prima non mi sarei mai aspettata che le onde della protesta avrebbero lambito le nostre coste.
Mentre assistevamo al corso degli eventi, solo occasionalmente saltava fuori una domanda lamentosa o arrabbiata: quando scenderemo noi per le strade? Eppure, agli inizi del massacro economico che si è abbattuto su questo paese, la gente, già spinta sull’orlo della disperazione e oltre, ancora echeggiava l’amaro ritornello del nuovo Presidente che predicava “niente più scuse” e “responsabilità individuale” a persone schiacciate sotto il peso di una crisi messa in moto da un sistema finanziario che – contrariamente alle illusioni della sinistra – aveva messo Obama al potere.
Mentre la nazione iniziava a crollare nel primo mese del primo mandato del nuovo Presidente, non ci siamo riversati per le strade quando Obama ha incaricato – per risolvere la crisi – gli stessi farabutti colpevoli di averla creata. Né siamo insorti scoprendo che le multinazionali stavano guadagnando profitti eccezionali mentre un numero incredibile di persone stavano affondando nella disoccupazione, perdendo la casa e la salute. Eppure Obama ci ha richiamati al sacrificio personale e alla responsabilità individuale, istruendoci su come “tutti” debbano dare una mano in tempi difficili.
Quindi, presumibilmente, non dovevano essere “nostri zi*” le trenta più importanti multinazionali che non hanno pagato alcuna imposta sul reddito negli ultimi tre anni, mentre stavano guadagnando 160 miliardi di dollari? E non ci fu alcuna rivolta tra le persone di colore, nonostante il fatto che per queste comunità la recessione sia la crisi e persino l’”olocausto economico.” Né le donne si riversarono nelle strade quando furono svendute dall’improvvisa decisione dello Stato di lasciare in eredità ai vescovi cattolici il potere decisionale in materia di sanità, nel corso dell’ inesistente dibattito sulla riforma sanitaria di Obama, assicurando così il risultato che ha messo fuori discussione la giustizia riproduttiva per le donne.
Lo stato ha giocato con i corpi delle donne e l’unica risposta è stata una manifestazione scadente messa in scena dalle stesse organizzazioni mainstream di donne che avevano, ancora prima di occupare il proprio posto fantasma alle “negoziazioni”, già rinunciato al proprio diritto a chiedere qualcosa di più del mantenimento della normativa sull’aborto. Eppure lo status quo era già delineato dall’ingiustizia su base razziale che colpisce le donne, ad esempio nel caso dell’Emendamento Hyde che nega i finanziamenti pubblici per gli aborti.
Mentre il nuovo regime iniziava i suoi primi 3 anni con il saccheggio legalizzato (in continuità con i regimi precedenti), i principali luoghi della sinistra liberale, come nel caso di The Nation, erano e sono ancora impegnati a lanciare i propri patetici richiami all’ Obama ‘ vero’ e ‘liberale’, chiedendogli di smetterla di nascondersi e di “fare la cosa giusta.” Il rapporto servile tra Stato e multinazionali pirate, protettori e sacerdoti è ribadita dalla sinistra liberale istituzionale nella lunga lista di genuflessioni di quest’ultima alla politica elettorale e al Partito Democratico. Allo stesso modo, come dimostra il ruolo del femminismo maggioritario e della genitorialità programmata nella (deforme) riforma sanitaria, l’integrazione mainstream del femminismo è risultata in un’istituzionalizzazione del femminismo in un ruolo accessorio al Partito.
Nonostante vi siano brillanti eccezioni, qualunque altra cosa resti del volto pubblico del femminismo è un femminismo brandizzato fatto di slogan e slut-walk; essenzialmente una politica identitaria in stile “Io sono una femminista perché posso fare quello che voglio purché sia una sorta di scelta politica e soprattutto se scelgo di essere sessualmente sottomessa (a meno che non lo rivendichi come empowerment). Perciò nel contesto di una sinistra sradicata e brandizzata, Occupy wall Street è sembrato un miracolo. Sembrava apparsa dal nulla, ed eccola finalmente. Ed è arrivata come una attesa, necessaria rottura con le ammuffite politiche di 
sinistra/femministe ad oggi.

Occupando le strade

OWS ha dimostrato, se non altro, che l’inviolabilità della monade iper-individualista neoliberale (“basta scuse”) non è a prova di recessione economica, dopotutto. Dal movimento è scaturita un’indignazione collettiva e libera dal laccio ideologico del neo-individualismo e dalla sua apparentemente inespugnabile fortezza di vergogna personale e colpa individuale come risposta alla violenza economica.
Attraverso la propria azione, il movimento ha reindirizzato il risentimento verso l’esterno, dal personale alla causa reale del malessere ampiamente diffuso, cioè un Sistema che non si ferma praticamente davanti a nulla nei suoi imperativi predatori per nutrirsi di ogni sostanza vivente- dai semi e dalle erbe medicinali ai corpi umani e alle intere popolazioni- per il suo obiettivo di estrarre un surplus di valore (profitto).
Il controllo asfissiante di vergogna e colpa personali- o il rovescio della medaglia, la prigione della fiducia positivista nell’empowerment individuale- cede il passo al risveglio del senso di una facoltà umana che credevamo estinta, la capacità di agire con gli altri per co-determinare le condizioni del nostro destino individuale e collettivo. Questa capacità di agire è l’essenza della politica stessa, che significa, secondo la filosofa Hannah Arendt, agire sinergicamente agli altri per raggiungere traguardi ed obiettivi, e questa essenza è stata liberata dall’ibernazione dalla stessa forza dell’attività, l’azione del nuovo movimento di Occupazione. Forse la capacità della Piazza di agire da forza trainante non si è ancora esaurita?
Un tempo abbondante dello spirito di rivolta, da decenni la Piazza è stata (con qualche eccezione) controllata, divisa in zone da pattuglie di polizia, in arene di obbedienza civilizzata. Così lo spazio pubblico è stato riprivatizzato, incellofanato in felici momenti di unità a misura di slogan, la data di scadenza dei quali non è mai andata oltre all’attimo di una preorchestrata “libera espressione di sé”. “Avere una voce” è diventato per un lungo periodo la raison d’etre della protesta.
La bellezza di OWS sta nel fatto che nella sua presa di possesso della Piazza, i.e. dello spazio materiale, sorpassa il potere meramente espressivo, trattenendo il valore simbolico dell’ “occupazione”. Ma, più verbo che nome, il suo dinamismo spinge il movimento oltre la localizzazione spaziale in uno spazio-tempo chiamato il momento dell’adesso della storia.

Occupare l’Imperialismo, occupare il Patriarcato

Ben presto in questo movimento così nuovo, le persone di colore si sono organizzate per spingere OWS verso una nuova sintesi intellettuale che tenesse conto della struttura razzista del capitalismo. Questi gruppi, con i loro blog e gruppi di lavoro, continuano a ricordarci che il capitalismo è basato su retaggi di razzismo, colonialismo e schiavismo ancora esistenti – o, per dirla in breve, imperialismo.
Contrariamente a quanto avvenuto nel caso dei blog e gruppi di lavoro delle persone di colore, per quanto riguarda le donne non si è verificato un analogo sviluppo che spingesse ad una analisi femminista – di qui la ragione di questo blog. Occupypatrarchy.org è stato creato per invitare le femministe a tuffarsi nel varco politico creato dal movimento di Occupazione, allo scopo di plasmare nuove analisi e nuove reti di azione che mostrino come il capitalismo sia organizzato sullo sfruttamento delle donne. Osiamo pronunciare il trito termine “patriarcato” che potrebbe stare sullo stomaco a molt*, dati i decenni di svilimento che lo hanno relegato al contesto delle frasi kitsch degli adesivi per auto.
Tuttavia patriarcato è un termine che enfatizza la natura sistematica e strutturale dell’oppressione e sfruttamento delle donne. Patriarcato è un termine che rende l’idea del fatto che “Il capitalismo uccide le donne”, come ho letto ad Halloween sulle guance dipinte di una giovane attivista. Poiché il concetto di patriarcato va persino oltre rispetto a quello di capitalismo nello spiegare il perché il capitalismo dipenda nella sua sostenibilità dall’estrazione di surplus dal lavoro non pagato e non valorizzato delle donne -che rappresenta il 50% del PIL mondiale, mentre le donne controllano solo l’1% dei mezzi di produzione.
Questo “lavoro da donne” (cioè lavoro naturalizzato/normalizzato come lavoro da donne) consiste nel lavoro di cura, nel supporto emotivo, nel lavoro sessuale, così come nel lavoro di riproduzione. La parola “patriarcato” spiega in che modo la posizione delle donne come subordinate rispetto all’uomo, per esempio come mogli, fidanzate, figlie, prostitute, consenta al capitalismo di guadagnare un profitto dai servizi offerti da queste ‘subordinate’. Il patriarcato permette al capitalismo, così come a uomini di ogni classe sociale – sebbene in modo differente nelle diverse classi sociali ed etnie – di trarre profitto dall’appropriazione del corpo, della sessualità e della psiche/emozioni delle donne così come della loro fatica.
Consideriamo alcuni esempi di come il capitalismo sia in realtà patriarcato capitalista. E’ a causa della posizione di balie non pagate di bambini e uomini che l’austerity colpisce più duramente le donne, in particolar modo le donne di colore più povere che sono costrette a farsi carico di tutto il lavoro di cura non più garantito, nemmeno in misura minima, dallo Stato. Consideriamo il caso delle madri latinoamericane di bambini ancora piccoli ad Hartford, Ct.
Quando il loro sussidio statale è stato tagliato dalla ‘deforma’ (ri-forma) del welfare sono state costrette a vendere i loro buoni per il sussidio alimentare per ottenere i soldi necessari alla copertura delle forniture scolastiche dei figli! Consideriamo anche il ruolo giocato dall’esercito sponsorizzato degli USA in un ordine mondiale capitalista ed imperialista: l’esercito in molte parti del mondo ha la funzione di proteggere gli interessi delle corporations ed è foraggiato da e foraggia il turbo-machismo.
Con la diffusione delle basi militari americane in tutto il mondo si è verificata parimenti una diffusione dei bordelli nelle basi per l’appropriazione sessuale delle donne autoctone. Queste popolazioni di donne sono state individuate con il preciso scopo di farne lo sfogo sessuale dei militari e delle loro fantasie eiaculatorie razziste sulle donne colonizzate a loro disposizione. L’industria sessuale, alimentata primariamente dalla richiesta degli uomini di mettere le donne in vendita sul mercato, sostiene in altre parole il capitalismo neoliberale.

Femminismo oggi?

“Il nostro compito è quello di svegliare la nostra gente, così da non perderci questo momento” Black Agenda Report
Bruce Dixon e Glenn Ford, editori del Black Agenda Report, stanno ricordando agli attivisti politici afroamericani di determinare essi stessi l’esito del movimento, più che di sforzarsi a leggere le menti della assemblea di giovani e bianchi fulcro dell’attuale movimento di Occupazione.
Anche le femministe dovrebbero ricordarci un simile compito. La necessità di una presenza femminista che si sviluppi nel contesto dei movimenti di Occupazione emerge dolorosamente negli sforzi attuali delle donne di confrontarsi con un’atmosfera di molestie sessuali nei siti di Occupazione. Le storie si stanno accumulando e non abbiamo ancora una chiara idea di cosa stia realmente accadendo. Sappiamo che gruppi di lavoro come “spazi più sicuri” si sono organizzati a NYC per affrontare il problema, ma ancora non c’è traccia del fatto che i gruppi abbiano compreso le connessioni politiche ed analitiche tra il dominio quotidiano del maschio reale ed i sistemi di sfruttamento che OWS sta contestando come movimento.
Davis ed Ensler sono le eccezioni alla norma a OWS; al momento attuale non ho dubbi che la resistenza al femminismo superi ogni segno di una possibile prospettiva femminista nei movimenti di Occupazione. E tuttavia rimango ottimista. Le dinamiche della protesta radicale lanciata dal movimento sorpassa i particolari modi con cui questo si è fin qui definito e delineato. Grazie alla sua creazione di uno spazio pubblico come spazio di azione e alla sua rottura con le forme ormai ingessate della pratica politica, OWS ha creato uno spazio politico nel quale quotidianamente si stanno spontaneamente plasmando nuovi gruppi, svincolati dai legami alle istituzioni di vecchia data e alle organizzazioni strutturate. (Qui l’incoraggiante e brillante intervista sul punto di vista di uno studioso/attivista di movimento di Occupy come un movimento sociale storico).
Riuscirà la solidarietà femminista a cogliere l’attimo e reinventarsi all’interno di nuove forme di aggregazione sociale? Il mio ottimismo nella risposta alla domanda deriva dal fatto che il dinamismo di OWS comprende le donne – molte e molte giovani donne – che, come la loro controparte maschile, sono coinvolte nello slancio della creazione di movimento. Questo significa che le donne sono in movimento, di nuovo attive come attrici politiche sul palco della storia. Quindi, se esiste una situazione in cui le idee femministe potrebbero penetrare e mettere radici, è proprio questa.
OWS sarà aperta al riposizionamento attraverso la lente della visione e della pratica femminista? Il femminismo si reinventerà come movimento all’interno della nuova situazione politica e nel campo di forza di possibilità politiche che da questa scaturisce? Non ho risposte, il momento è indeterminato, fluido e dinamico in termini di esiti possibili. Tutto quello che so è che il nostro compito – parafrasando Black Agenda Report- è svegliare la NOSTRA gente- le DONNE- così che noi femministe non rischiamo di perdere questo momento.

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